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HELDER. 399

di non poter vedere la fine. La vita gli mancò mentre esaminava una carta geografica, il suo braccio cadde irrigidito nell’atto di accennare la terra lontana, e l’ultima sua parola fu un incoraggiamento e un consiglio. Nella baia di San Lorenzo, incontrarono, si può immaginare con qual gioia, una barca russa, che diede loro dei viveri, del vino e del cochlearia, rimedio per lo scorbuto, di cui s’erano ammalati parecchi marinai, i quali subito ne guarirono. Costeggiarono la Siberia, e incontrarono altri legni russi di più in più frequenti, e si provvidero di vivande fresche colle quali ristorarono le loro forze. All’entrata del Mar Bianco, una nebbia densissima divise le due barche, che oltrepassarono però tutt’e due il capo Candnoes, e favorite dal vento, percorsero in trenta ore un spazio di centoventi miglia, in capo al quale si ricongiunsero gettando grida d’allegrezza. Ma una gioia ben maggiore li aspettava a Kilduin. Trovarono là una lettera del Ryp, comandante dell’altro bastimento, partito insieme con loro dall’isola di Texel, il quale annunziava il suo arrivo. Dopo breve tempo la barca e la scialuppa raggiunsero il bastimento a Kola. Era la prima volta che i naufraghi della Nuova Zembla rivedevano la bandiera della patria dopo la partenza dall’isola degli Orsi, e la salutarono con un delirio di gioia. I compagni del Ryp e i compagni del Barendz si precipitarono gli uni nelle braccia degli altri, si raccontarono le vicende corse, piansero gli amici perduti, dimenticarono i patimenti sofferti, e tutti insieme