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HELDER. | 395 |
aringhe e biscotti ch’eran loro rimasti delle provvigioni del viaggio. Intanto il freddo cresceva a tal segno che gli orsi non uscivan più dalle loro tane. Gli alimenti e le bevande gelavano persino accanto al fuoco. I poveri marinai si bruciavano le braccia e i piedi senza risentire il menomo calore. Una sera che, per timore di morire di freddo, avevan chiuso ermeticamente la capanna, andarono a un filo dal morire soffocati, e dovettero, per non soccombere, affrontare di nuovo quel freddo tremendo.
A tutte queste calamità se n’aggiunse un’altra. Il giorno quattro di novembre essi aspettarono inutilmente l’aurora; il sole non apparve più; la notte polare era cominciata. Allora quegli uomini di ferro si sentirono mancar l’animo, e il Barendz dovette, dissimulando l’angoscia, spiegare tutta l’eloquenza che potè trarre dal cuore, per impedire che si abbandonassero alla disperazione. Il nutrimento e la legna cominciarono a scarseggiare; i rami d’abete trovati sulla spiaggia erano buttati sul fuoco quasi con rammarico; il lume era alimentato appena tanto da rompere le tenebre. Ciò nonostante, la sera, quando riposavano dalle fatiche della giornata, raccolti intorno al loro piccolo focolare, avevano ancora qualche momento di allegrezza. Il giorno della festa dei Re fecero un piccolo banchetto con vino e paste di farina fritte nell’olio di balena, e tirarono a sorte a chi toccasse la Corona della Nuova Zembla. Altre volte giocavano, raccontavano vecchie storie, facevano brindisi alla gloria di Maurizio d’Orange, par-