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rono su quelle rive delle lotte accanite, che riunivano tutti gli orrori delle battaglie di terra e delle battaglie di mare. I soldati guadavano i canali di notte, stretti gli uni agli altri, coll’acqua alla gola, minacciati dalla marea, flagellati dalla pioggia, fulminati dalle rive; i cavalli e le artiglierie affondavano nel fango; i feriti eran travolti dalla corrente sepolti vivi nelle fitte; l’aria suonava di voci tedesche, spagnuole, italiane, fiamminghe, vallone, le fiaccole illuminavano qua e là i grandi archibugi, i pennacchi pomposi, i volti strani, e le battaglie parevano funerali fantastici; ed erano davvero i funerali della grande monarchia spagnuola che s’annegava lentamente nell’acque dell’Olanda, coperta di maledizioni e di fango. Chi ha peccato di soverchia tenerezza per la Spagna, se vuol fare ammenda, non ha che da andare in Olanda. Non ci son forse mai stati due popoli che avessero un maggior numero di buone ragioni per detestarsi con tutta la forza dell’anima, e che abbian fatto valere più rabbiosamente tutte queste buone ragioni. Mi ricordo, per notare uno solo dei mille contrasti, dell’impressione che mi faceva l’udir parlare di Filippo II in termini così diversi da quelli in cui ne avevo inteso parlare pochi mesi prima di là dai Pirenei. In Spagna il meno che se ne dicesse era gran re; in Olanda, tiranno vigliacco.

Il bastimento entrò fra l’isola di Schouwen e la piccola isola di San Philipsland, e in pochi minuti sboccò nel largo braccio della Mosa, chiamato Kram-