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ZAANDAM. 365

una casetta qui, un albero là, una capanna in fondo; finchè non essendo più possibile di farci entrare un filo d’erba, nè una pietra, nè un fiore, si smette il pennello soddisfatti dell’opera propria, e si corre a far vedere il quadro alla fantesca, la quale giunge le mani in atto di meraviglia, ed esclama che è un vero paradiso terrestre. Ebbene, Zaandam, vista dal fiume, è tale quale uno di codesti paesaggi.

Sono tutte casette verdi, coi tetti coperti di coppi rossissimi, sui quali s’innalzano dei chioschi pure verdi, sormontati da banderuole variopinte o da palle di legno di diverso colore infilate in un’asta di ferro; torricciuole coronate di balaustrate e di padiglioni; edifizii della forma di tempietti e di villini; baracche e bicocche di una struttura non mai vista, capricciosamente sovrapposte, e strette le une contro le altre, che par che si disputino lo spazio; un’architettura di ripiego, tutta vanità e tutta apparenza. In mezzo a questi edifizii, stradine per cui passa appena una persona, piazzette anguste come stanze, cortili poco più grandi di una tavola, canali dove non può scorrere che un’anitra; e sul davanti, tra le case e la riva del fiume, dei giardinetti da ragazzi, pieni di capanni, di casette per le galline, di pergolati, di cancellate, di mulini a vento da trastullo e di salici piangenti; e dinanzi a questi giardini, sulla riva del fiume, dei piccoli porti pieni di piccole barche verdi legate a piccole palafitte ancora più verdi. In mezzo a questo guazzabuglio di giardini e di baracche, s’alzano da tutte le parti mulini a