suno, mi venne il desiderio di veder l’interno di una casa. Mentre guardavo qua e là in cerca d’un’anima ospitale, m’intesi chiamare: — Monsieur — e voltatomi, vidi una donna sur un uscio, la quale mi domandò timidamente: — Foulez fous foir une maison particulière? — Accettai; la donna lasciò gli zoccoli sulla soglia, come si usa in tutte le case di quei paesi, e mi condusse dentro. Era una povera vedova, come mi disse appena fummo entrati, e non aveva che una stanza; ma che stanza! Il pavimento era coperto di stuoie pulitissime; i mobili erano luccicanti come l’ebano; le maniglie del cassettone, la linguetta del baule, i rilievi d’un piccolo stipo, le bullette delle seggiole, persino i chiodi piantati nel muro, parevano d’argento. Il cammino era un vero tempietto, tutto rivestito di lastrine di maiolica colorite e nitide come se non avessero mai visto il fumo. Sur un tavolino c’era un calamaio di rame, una penna di ferro e qualche gingillo, che avrebbero richiamato l’attenzione nella vetrina d’un orefice. Da qualunque parte volgessi gli occhi, scintillava qualche cosa. Non vedendo il letto, domandai alla buona donna dove dormisse. Per tutta risposta s’avvicinò a una parete ed aperse i due battenti nascosti dalla tappezzeria. Il letto (come in quella casa, in tutte le altre) è chiuso in una specie di armadio a muro, e consiste in un materasso e in un pagliericcio distesi sopra la parte inferiore del muro medesimo, senz’assi e senza cavalietti; letto che sarà comodo d’inverno, ma che dev’essere un