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comunica e riceve insieme dalla città, la quale è la sede dell’ortodossia protestante. Per questo si dice che per le strade d’Utrecht si vedono delle figure pallide e rifinite di puritani, che sono scomparse altrove, e che paiono ombre evocate d’altri tempi. Il popolo ha un aspetto più grave che nelle altre città, le signore affettano un contegno monacale, e persino fra gli studenti v’è una certa velleità di vita raccolta e penitente che non esclude nè birra, nè feste, nè chiassi, nè cattive pratiche. Oltre che sede dell’ortodossia, Utrecht è ancora una delle più forti cittadelle del cattolicismo, professato da ventiduemila dei suoi abitanti; e nessuno può aver dimenticato la tempesta che scoppiò in Olanda quando il Pontefice volle ristabilire in quella città l’antica sede episcopale; tempesta per la quale si ridestarono i sopiti rancori tra protestanti e cattolici, e precipitò il ministero del famoso Torbecke, il piccolo Cavour delle Provincie Unite.

Ma in fatto di religione, Utrecht possiede una preziosa rarità da Museo, un avanzo archeologico curiosissimo, la sede principale della sètta giansenista, la quale non si trova più nello stato di Chiesa costituita, fuorchè nei Paesi Bassi, dove conta ancora trenta Comunità e qualche migliaio di fedeli. La Chiesa, decorata della semplice iscrizione Deo, si alza in mezzo a un gruppo di casette disposte in forma di chiostro, e unite fra loro da piccoli cortili ombreggiati da alberi fruttiferi; e in quel ricetto silenzioso e tristo, nel quale non