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HAARLEM. | 287 |
mentano le loro metamorfosi, le loro avventure e i loro trionfi, e lasciano nella mente una dolcissima confusione d’immagini belle e di pensieri gentili.
Dopo questo, mi pare di poter partire per Amsterdam, dove mi spinge una curiosità irresistibile; e già metto il piede sul montatoio del treno, e adocchio un bel posto vicino allo sportello del vagone; quando mi sento afferrare per la falda, mi volto e vedo lo spettro d’un mio cortese critico d’Italia, il quale mi dice in tuono di rimprovero: “Ma, e i commerci, e le industrie, e gli stabilimenti di Haarlem, dove li ha lasciati?” — “Ah! è vero” rispondo io; “lei è uno di quelli che vogliono descrizione, guida, dizionario, trattato, indicatore, quadro statistico, tutto in un libro? Ebbene, la voglio contentare. Sappia dunque che in Haarlem c’è un ricchissimo museo d’istrumenti fisici, chimici, ottici, idraulici, lasciato alla città da un Pietro Teyler van der Hulst, con una somma da destinarsi ogni anno a concorsi scientifici; — che c’è una fonderia celebre di caratteri greci ed ebraici; — che ci sono parecchie belle fabbriche di cotone fondate sotto il patronato di re Guglielmo II; — che ci sono dei lavatoi di biancheria famosi in tutta l’Olanda.” In questo momento si sentì il fischio della partenza: “Un momento!” mi gridò il critico cercando di trattenermi allo sportello, “che dimensioni hanno le macchine elettriche del museo Teyler? Quanto producono anno per anno le fabbriche di cotone? Che sapone s’adopera nei