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270 HAARLEM.

ogni parte canali, mulini a vento, ponti levatoi, barchette di pescatori, case che si specchian nell’acqua; e fatto appena qualche centinaio di passi si riesce in una vasta piazza che fa esclamare con piacevole meraviglia: — Oh! eccoci veramente in Olanda! —


In un angolo v’è la cattedrale, edifizio alto e nudo, sormontato da un tetto della forma di prisma acutissimo, che par che fenda il cielo come una scure affilata. In faccia alla cattedrale s’alza l’antico palazzo municipale, coronato di merli, con un tetto simile a un bastimento rovesciato, e un balconcino che pare una gabbia da uccelli appesa sopra la porta, e una parte della facciata nascosta da due piccole case d’una forma bizzarra, tra di teatro, di chiesa e di castello da fuochi artificiali. Dagli altri lati della piazza ci son case di tutte le più capricciose forme dell’architettura olandese, pencolanti di qua e di là, di color nero, rossastro o vermiglio, colle facciate tempestate di bozze bianche, che paion tante scacchiere, e una fila d’alberi piantati quasi contro il muro, che nascondono tutte le finestre del primo piano. Accanto alla cattedrale, un edifizio stravagante, che serve agli incanti pubblici, un monumento d’architettura fantastica, mezzo rosso e mezzo bianco, tutto scalini, frontispizi, obelischi, piramidine, bassorilievi, ornamenti senza nome, della forma di trionfi da tavola, di candellieri e di spegnitoi che paion buttati là a caso, e presentano tutti insieme l’immagine d’un pagode indiano trasformato, con