andavano scemando i viveri e il cerchio dell’assedio si restringeva di giorno in giorno. Guglielmo d’Orange che occupava la fortezza di Polderwaert, posta fra Delft e Rotterdam, non vedendo altra via di soccorrere la città, concepì, e ottenne che fosse approvato dai deputati, il disegno di allagare la campagna di Leida, rompendo le dighe dell’Issel e della Mosa, e scacciando così gli Spagnuoli colle acque, poiché non li poteva scacciare colle armi. Questa disperata risoluzione fu subito messa in atto. Le dighe vennero rotte in sessanta luoghi, le cateratte di Rotterdam e di Gouda furono aperte, il mare cominciò a invadere le terre, e duecento barconi si tennero pronti a Rotterdam, a Delftshaven e in altri luoghi per portare provvigioni alla città, appena cominciassero le grandi cresciute delle acque, che avvengono nell’equinozio d’autunno. Gli Spagnuoli, atterriti sulle prime dall’inondazione, si rassicurarono quando ebbero compreso il disegno degli Olandesi, tenendo per certo che la città si sarebbe arresa prima che le acque giungessero ai forti principali; e a tal fine strinsero l’assedio con maggior vigore. In questo tempo i Leidesi, che cominciavano a sentire le strette della carestia, e a disperare che il soccorso promesso giungesse in tempo, mandavano lettere, per mezzo di piccioni, a Guglielmo d’Orange, malato di febbre ad Amsterdam, per esporgli il triste stato della città; e Guglielmo rispondeva incoraggiandoli a protrarre ancora la resistenza, che, appena rimesso in salute, sarebbe volato a soccor-