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LEIDA. 251

soltanto qua e là, guardando a traverso i rami, si vedono i tetti rossi di Leida, la pianura rigata di canali, le dune, i campanili delle città lontane.

Sulla cima di quella torre, all’ombra delle quercie, si sogliono raccogliere gli stranieri per evocare le memorie di quell’assedio che fu «la più lugubre tragedia dei tempi moderni,» e che sembra abbia lasciato nell’aspetto di Leida una traccia incancellabile di tristezza.

Nel 1573 gli Spagnuoli, condotti dal Valdez, posero l’assedio a Leida. Nella città non si trovavano che pochi soldati volontari. Il comando militare era stato affidato al Van der Voes, uomo valoroso e poeta latino di bella fama; il Van der Werf era borgomastro. In breve tempo, gli assedianti costrussero più di sessanta forti in tutti i passi dove si potesse penetrare per acqua o per terra nella città, e Leida si trovò completamente circondata. Ma i Leidesi non si perdettero d’animo. Guglielmo d’Orange aveva fatto dir loro che resistessero almeno per tre mesi, che in questo tempo egli si sarebbe posto in grado di soccorrerli, che la sorte dell’Olanda dipendeva da quella di Leida; e i Leidesi gli avevan promesso di resistere fino agli estremi. Il Valdez mandò ad offrir loro il perdono del re di Spagna, purché gli aprissero le porte; essi gli risposero con un verso latino: Fistula dulce canit, volucrem dum decipit anceps, e cominciarono a far sortite e ad attaccare combattimenti. Intanto nella città