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LEIDA. | 249 |
trent’unalettera, che corrispondono ai giorni della durata dell’assedio.
Entrai nel palazzo, girai per varie sale e corridoi senza vedere anima viva e senz’udire un rumore il quale desse indizio ch’era abitato, sin che incontrai un usciere che mi si mise ai fianchi, e fattomi attraversare uno stanzone dov’erano parecchi impiegati immobili come automi, mi condusse nella sala delle curiosità. Il primo oggetto che mi diede nell’occhio, fu una tavola sconnessa, sulla quale lavorò, se è vera la tradizione, quel famoso sarto Giovanni di Leida, che mise sottosopra il paese, sul principio del secolo decimosesto, come aveva fatto, cinque secoli prima, il Tanchelyn, di oscena memoria; quel Giovanni di Leida, capo degli anabattisti, il quale difese contro il vescovo conte di Waldeck, la città di Munster, dove lo avevano eletto re i suoi partigiani fanatici; quel pio profeta, che ebbe un serraglio di donne, e ne fece decapitar una, perchè s’era lamentata della carestia; quel Giovanni di Leida, infine, che morì all’età di 26 anni straziato colle tanaglie roventi, e il suo cadavere, posto in una gabbia di ferro sulla cima d’una torre, fu divorato dai corvi. Egli non era però giunto a destare il fanatismo che aveva destato il Tanchelyn, al quale le donne, persuase di far cosa grata a Dio, si prostituivano al cospetto dei loro mariti e delle loro madri; e gli uomini libavano come una bevanda purificatrice l’acqua nella quale egli aveva lavato la sua sconcia persona.