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L'AJA. | 227 |
nenze secche, ma con calma, senza far rumore; impertinenze, sto per dire, che consistono più nella cosa che nella parola, e feriscono senza far strillare.
Nelle conversazioni al club, mi faceva specie, sulle prime, di non udir mai nessuno che parlasse per parlare. Quando uno apriva bocca, era per fare una domanda, o per dare una notizia, o per esporre un’osservazione. Quell'arte di fare d’ogni idea un periodo, d’ogni fatto un racconto, d’ogni bazzecola una quistione, nella quale noi italiani, francesi e spagnuoli siamo maestri, là è affatto sconosciuta. La conversazione non è uno scambio di suoni, ma un commercio di cose, e nessuno fa il menomo sforzo per parer dotto, facondo, arguto. In tutto il tempo che stetti all’Aja non mi ricordo d’aver inteso che una sola arguzia, e fu d’un deputato, il quale parlandomi dell’alleanza degli antichi Batavi coi Romani disse: — Noi siamo sempre stati amici delle autorità costituite. — Eppure la lingua olandese si presta ai calembours; in prova di che ho inteso citare il caso d’una bella signora straniera la quale domandando un guanciale a un giovane barcaiuolo del trekschuit, non pronunziò bene la parola, e disse invece di guanciale, bacio, che in olandese suona quasi lo stesso, e fu appena in tempo a chiarire l'equivoco, chè il barcaiuolo s’era già pulito la bocca col rovescio della mano.
Studiando il carattere olandese, non mi parve che fosse vero quello che avevo letto in più libri,