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L'AJA. 221

ceva con la più grande serietà: — «Voglio sperare che oggi, s’ella non ha altri impegni, mi farà l’onore di pranzare con me.» — Io cadevo dalle nuvole. Pranzavamo insieme, e il mio anfitrione popolava freddamente la tavola di bottiglie di vino di Bordeaux, del Reno e di Champagne, e non si separava da me prima d’avermi costretto a dir di sì a un altro invito. Altri, ai quali domandavo ragguagli intorno a varie cose, mi rispondevano appena, quasi per farmi capire ch’ero un importuno, tanto che io dicevo tra me: — Vedete un po’ che scompiacenti! — e il giorno dopo mi davano i ragguagli in iscritto, chiari, ordinati, minuti più di quello che io avessi mai desiderato. Una sera pregai un tale di cercare non so che in uno di quei mari di cifre, che si chiamano: «Indicatori delle strade ferrate d’Europa.» Per qualche momento non mi diede risposta: io rimasi mortificato. Poi prese il libro, inforcò gli occhiali, sfogliettò, lesse, notò, sommò, sottrasse con una pazienza da santo per lo spazio d’una mezz’ora; e quand’ebbe finito, mi porse la risposta scritta e rimise gli occhiali nell’astuccio senza proferire una parola.

Molti di coloro coi quali passavo la serata, solevano andar a casa alle dieci a lavorare, e tornare al club alle undici e mezzo per rimanerci fino a un’ora dopo mezzanotte; e quando avevano detto: — debbo andare, — non c’era caso che cangiassero risoluzione. Finivan di scoccare le dieci, erano già fuori della porta; scoccavano le undici e mezzo, ri-