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L'AJA. 217

sorta di giuochi e di prodezze; alcuni descrivendo coi loro giri figure fantastiche o parole d’amore, altri facendo una piruletta rapidissima, e spiccandosi poi indietro sur una gamba sola per un lunghissimo tratto; altri serpeggiando con infinite vertiginose giravolte in un piccolo spazio curvi, scontorti, ritti, accoccolati, come fantocci di gomma mossi da una molla segreta.

Il primo giorno che i canali e i bacini presentano uno strato di ghiaccio abbastanza solido da poterci scivolare, è per le città olandesi un giorno di festa. Dei patinatori mattinieri, che han fatto gli esperimenti allo spuntar del giorno, spargono la voce; i giornali l’annunziano; frotte di ragazzi si sparpagliano per le strade gettando grida di allegrezza; i servitori, le serve chiedono ai loro padroni il permesso d’uscire coll’aria di gente risoluta di ribellarsi a un rifiuto; vecchie signore scordano gli anni e i malanni e corrono ai canali a gareggiare colle amiche e le figliuole; all’Aja, il bacino ch’è nel mezzo della città, vicino al Binnenhof, è invaso da una folla di gente che vi s’intreccia, si confonde, s’urta, si rimescola come una turba presa dalle vertigini; il fiore dell’aristocrazia va a patinare in un bacino in mezzo al bosco; e là volteggiano confusamente in mezzo alla neve ufficiali, signore, deputati, studenti, vecchi, ragazzi, e in mezzo a loro, qualche volta, il principe ereditario; e intorno s’accalcano migliaia di spettatori, la musica accompagna la festa, e l’enorme disco del sole d’Olanda, che