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204 L'AJA.

un grossissimo tronco d’albero acuminato all’una delle estremità, e rizzato in mezzo a due travi parallele, fra le quali una macchina a vapore faceva scorrere un enorme martello di ferro. La palafitta doveva farsi strada a traverso parecchi strati fortissimi di fascine e di sassi; eppure, ad ogni colpo di quel formidabile martello si profondava spezzando, lacerando, stritolando, per più d’un palmo dentro la diga, come sarebbe penetrata nella terra. Ciò nondimeno, tra l’apparecchiare e il piantare, l’operazione durò, per quella sola palafitta, quasi un’ora. Io pensai alle migliaia ch’erano state confitte, alle migliaia che si dovevan configgere, alle interminabili dighe che difendono l’Olanda, a quelle infinite che furon rovesciate e ricostruite, e abbracciando col pensiero, per la prima volta, la grandezza favolosa di quel lavoro, provai un senso di spavento che mi fece rimanere lungo tempo immobile e senza parola. Intanto le acque salivan già fin quasi all’altezza della diga, facendo un rumore come di soffi, di aneliti, di voci stanche, che pareva mormorassero segreti di mari lontani e di lidi sconosciuti; il vento soffiava più freddo; l’aria cominciava a oscurarsi; e io provavo un desiderio inquieto di ritirarmi da quegli spalti avanzati nell’interno della fortezza. Tirai per la falda il mio compagno che da un’ora stava ritto sur un macigno, e tornammo sulla spiaggia. Entrammo a bere un bicchiere di schiedam in una di quelle botteghe che si chiamano in olandese: Vieni e domanda, dove si vendon vini, salumi, sigari, scarpe,