di dune che formano un triplice baluardo contro il mare; le esterne sono le più aride, quelle di mezzo le più alte, e quelle interne le più coltivate. L’altezza media di queste montagnole di sabbia non è maggiore di una quindicina di metri; e tutte insieme non s’addentrano nelle terre per più di una lega francese. Ma non essendoci nè vicino nè lontano alcun’altura maggiore, esse offrono all’occhio ingannato l’aspetto d’una vasta regione montagnosa. Vi si vedono le vallate, le gole, i precipizi; prospetti che sembrano lontanissimi, e sono a un trar di mano; cime di dune vicine, sulle quali sembra che un uomo dovrebbe apparire appena come un bambino, e pare invece un gigante. A guardar quella regione dall’alto, presenta l’immagine d’un mar giallo, tempestoso ed immobile. La tristezza di questo deserto è ancora accresciuta da una vegetazione selvaggia, che par come la gramaglia di quella natura morta e abbandonata: erbe esili e rade, fiori coi petali quasi diafani, ginestre, eriche, rosmarini, gallinelle, fra cui si vede tratto tratto fuggire qualche coniglio. Per grandissimi spazi non si scorge una casa, nè un albero, nè un’anima viva. Passano di tempo in tempo corvi, chiurli, gabbiani; e i loro gridi, e lo stormire degli arbusti agitati dal vento, sono il solo rumore che rompa il silenzio di quella solitudine. Quando il cielo è nero, il colore smorto della terra acquista una chiarezza sinistra, simile a quelle luci fantastiche in cui appariscono gli oggetti guardati a traverso un vetro