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186 | L'AJA. |
e il Brandt, piccato, per svergognare l’imperiale avarizia, la regalò al Museo dell’Aja.
Fin dal primo giorno avevo incontrato per le strade dell’Aja certe donne vestite in una maniera così strana, che m’ero messo a pedinarne una per osservare attentamente tutti i particolari del suo costume. A primo aspetto immaginai che appartenessero a qualche ordine religioso, o che fossero eremite, o pellegrine, donne di qualche popolo nomade di passaggio per l’Olanda. Portano uno spropositato cappello di paglia foderato d’indiana a fiori, una mantellina da frate di rascia color cioccolatte, foderata di una stoffa rossa; una sottana pure di rascia, corta, gonfia che par che abbiano la crinolina; le calze nere e gli zoccoli bianchi. La mattina si vedono andare al mercato con una cesta piena di pesci sulla testa, con un carretto, tirato da due grossi cani. Sono per lo più scompagnate, o a due a due, senz’uomini. Camminano in una maniera particolare, a passi lunghi, con un certo accasciamento, come chi è abituato a camminare sulla sabbia; e hanno nel viso e nel contegno qualcosa di triste, che concorda coll'austerità cenobitica del loro vestire.
Un olandese a cui domandai chi fossero, mi disse per tutta risposta: “Vada a Scheveningen.”
Scheveningen è un villaggio, distante due miglia dall’Aja, e ci si va per una strada diritta, fiancheggiata in tutta la sua lunghezza da parecchie file di bellissimi olmi, che non vi lasciano penetrare un