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182 | L'AJA. |
riman nella memoria come il ricordo d’un sogno. E in quest’atmosfera pose i suoi personaggi, dei quali alcuni rimasero vestiti della luce sfolgorante d’un’apoteosi teatrale, altri velati come larve, altri saettati da un sol raggio di luce nel viso; vestiti di abiti pomposi o miseri, ma tutti con qualcosa di strano e di fantastico; senza contorni precisi, ma carichi di colori possenti, con rilievi scultorii e tocchi di pennellate temerarie; e per tutto l’espressione calda, la furia dell’ispirazione violenta, l’impronta superba, capricciosa, profonda del genio senza freno e senza paura.
Del resto, ognuno vuol dir la sua; ma chi sa che il Rembrandt se potesse leggere tutte le pagine che si sono scritte per spiegare le segrete intenzioni della sua pittura, non darebbe in uno scoppio di risa! Tale è la sorte degli uomini di genio: ognuno, per mostrare che li ha capiti meglio degli altri, se li rimpasta a modo suo; sono come un bel tema dato da Dio, che gli uomini svolgono in mille modi diversi; un telaio su cui l’immaginazione umana dipinge e ricama secondo le torna o le frulla.
Uscii dal Museo dell’Aja con un desiderio insoddisfatto, per non averci trovato nessun quadro di Girolamo Bosch, nato a Bois-le-duc, nel decimoquinto secolo. Questo cervellaccio pieno di diavolerie, questo spauracchio di bigotti, questo stregone dell’arte, m’aveva fatto accapponar la pelle per la prima volta nel Museo di Madrid, con un quadro che rappresenta un orribile esercito di scheletri vivi sparpa-