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L'AJA. 169

riodo del nostro noviziato filologico. In Olanda segue soventissimo d’incontrare gente che parla francese rimestando con infiniti sforzi un capitale di cento parole e di venti frasi; ma parla, regge una lunga conversazione e non mostra di curarsi menomamente di quello che voi possiate pensare dei suoi spropositi e della sua audacia. Portinai, facchini, ragazzi, interrogati se sappiano il francese, rispondono colla più grande sicurezza: — Oui, o — un peu, e s’industriano in mille modi per farsi capire, ridendo qualche volta essi medesimi delle stravaganti contorsioni del loro linguaggio, e arrotondando ogni risposta con un s’il vous plaît o un pardon, Monsieur, detto il più delle volte così graziosamente a sproposito, da doverne ridere ad ogni costo. E pare così ovvio a tutti il sapere il francese, che quando qualcuno deve rispondere che non lo sa, tituba, si vergogna, e se è interrogato per la strada, finge d'aver fretta e vi pianta su due piedi.

Quanto alla lingua olandese, per chi non sappia il tedesco è buio pesto; e anche sapendo il tedesco, si può capirne qualcosa nei libri, con un po' di studio; ma a sentirla parlare, è buio egualmente. Se avessi da dire l'effetto che fa sull'orecchio a chi non la intende, direi che par tedesco parlato da gente che abbia un pelo nella gola; il che è dovuto alla frequenza d'un'aspirazione gutturale che somiglia alla jota spagnuola. Gli Olandesi stessi non trovano che la loro lingua sia armoniosa. Mi accadde spesso di sentirmi domandare con un'aria scher-