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DELFT. 137

di pulizia, e rimase annichilita. Le pareti erano bianche come la neve intatta; le casseruole riflettevano gli oggetti come specchi; la cappa del cammino era ornata d’una specie di tendinetta di mussolina come il cielo d’un letto, senza la menoma traccia di fumo; il muro, sotto la cappa, era rivestito di lastrine quadrate di maiolica, pulite come se non ci avessero mai acceso il fuoco; gli alari, la paletta, le molle, le asticciuole della catena, parevan d’acciaio brunito. Una signora vestita da ballo avrebbe potuto girar per quella stanza, ficcarsi in tutti gli angoli e toccare ogni cosa, senza contaminare d’un punto nero la sua bianchezza.

In quel mentre la fantesca faceva la pulizia, e il mio ospite la commentava: “Per avere un’idea di cos’è la pulizia da noi,” diceva “bisognerebbe tener dietro per un’ora al lavoro di queste donne. Qui s’insapona, si lava e si spazzola una casa tal e quale come una persona. Non è una pulitura, è una toeletta. Si soffia nella commessura dei mattoni, si fruga negli angoli colle unghie e cogli spilli, si fa una pulizia minuta al segno da stancare la vista non meno delle braccia. È una vera passione nazionale. Queste ragazze, che sono ordinariamente flemmatiche, il giorno stabilito per la pulizia, escono dal loro carattere, diventan frenetiche. Allora noi non siamo più padroni della casa. C'invadono le stanze, ci scacciano, ci spruzzano, mettono ogni cosa sottosopra; per loro è un tripudio; sono come le baccanti della pulizia; si esaltano lavando.”