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aver fatto ogni sorta di sforzi disperati, i poveri animali stanchi e atterriti ci dovettero rinunziare. Avrebbero potuto salvarsi e abbandonare i piccini alla loro sorte, come fanno per lo più le creature umane in simili casi. Restarono invece nei nidi, strinsero i piccini intorno a sè, vi stesero sopra le ali come per ritardare almeno d’un momento la loro fine, e così aspettarono la morte, e rimasero esanimi in quell’atteggiamento amoroso ed altiero. E chi sa che in quel orribile fuggi fuggi dell’incendio, l’esempio del sacrifizio, del martirio volontario di quelle povere madri, non abbia ridato coraggio a qualche pusillanime che stava per abbandonare chi aveva bisogno di lui!
Nella grande piazza dov’è la nuova chiesa, rividi delle botteghe, che avevo già osservato a Rotterdam, nelle quali tutti gli oggetti che si possono attaccare l’uno all’altro, sono appesi fuor della porta o nell’interno, in modo da formare delle ghirlande, dei festoni, delle tende, di scarpe, per esempio, di pentole, d’innaffiatoi, di ceste, di secchiolini, che spenzolano dal soffitto fino quasi in terra e qualche volta nascondono quasi completamente il fondo della stanza. Le insegne sono come a Rotterdam; una bottiglia di birra appesa a un chiodo, un pennello, una scatola, una scopa, e i soliti testoni colla bocca spalancata.
La nuova chiesa, fondata verso la fine del decimoquarto secolo, è per l’Olanda quello che è l’abbazia di Westminster per l’Inghilterra. È un grande