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110 rotterdam.

gomma elastica, come quelle che s’usano a innaffiare i giardini, stando nel mezzo della strada, vibravano contro le finestre del secondo piano dei vigorosi getti d’acqua, che ricadevano in pioggia dirotta; altre lavavan le vetrate con spugne e cenci legati in cima a canne altissime; altre strofinavan gli anelli e le lastre delle porte; altre, gli scalini delle scale; altre, i mobili portati fuor di casa; i marciapiedi erano ingombri di secchie, di secchiolini, di brocche, di innaffiatoi, di panche; sgocciolava acqua dai muri, correva acqua per la strada, da ogni parte s’incrociavano schizzi e zampilli. E, cosa singolare! mentre il lavoro in Olanda è lento e tranquillo in tutte le sue forme, quello presentava un aspetto affatto diverso. Tutte quelle ragazze avevano il viso acceso, entravano in casa, uscivano, salivano, scendevano, si sbracciavano con una sorta di furia, pigliando degli atteggiamenti acrobatici che facevano risaltare curve temerarie, senza badare a chi passava, se non quanto era necessario per tener lontana la gente, con occhiate gelose, dai marciapiedi e dai muri. Era insomma una gara, un furore di pulizia, una sorta di abluzione generale della città, che aveva qualcosa di puerile e di festoso, e facea fantasticare che fosse un rito d’una religione stravagante, che prescrivesse di purgare la città da qualche infezione misteriosa di spiriti maligni.