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convento della costa, ai quali il mare aveva portato insieme alla carcassa del bastimento, i quadri del naufragio, ch’essi religiosi avevano trovato ammirabili; e così il Cornélis fu raccolto, ospitato, stimolato a dipingere, e quella profonda emozione del naufragio diede al suo ingegno un impulso nuovo e potente che lo rese artista vero. E un altro, Hans Fredeman, il pittore famoso degl’inganni, quello che dipinse così maestrevolmente delle colonne sopra i battenti della porta d’una sala, che Carlo V, voltatosi, appena entrato, a guardare, credette che la parete si fosse chiusa per incanto dietro di lui; quell’Hans Fredeman che dipingeva delle palizzate che facevan tornare indietro della gente, e degli usci su cui si posava la mano per aprire, dovette la sua fortuna a un libro d’architettura del Vitruvio che ebbe per caso da un falegname.

V’è un bel quadretto dello Steen, che rappresenta un medico il quale finge di far l’estrazione della pietra a un malato immaginario: una vecchia raccoglie le pietre in una catinella, il malato strilla disperatamente e alcuni curiosi guardano sorridendo da una finestra.

Quando si dica che questo quadro fa dare in uno scoppio di risa, se ne dice tutto quello che è utilmente dicibile. Questo Steen è, dopo il Rembrandt, il più originale pittore di figure della scuola olandese; è uno di quei pochissimi artisti che, una volta conosciuti, siano non siano consentanei alla nostra indole, si ammirino come grandi o si ritengano degni soltanto