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volesse divorare solo fagioli e peperoni. In dieci minuti non si vide più sulla piazza deserta che un mucchio d’uova rotte precipitate in quel tramestio giù da una cesta, e ci s’era conficcata in cima la canna col cartellino benedetto “10 lire la dozzina”. Feci notare a un ciabattino, all’angolo di via della Posta, che era un peccato lasciar cuocere quella frittata al sole; e quello chiamò la moglie e in due travasarono dentro un pajolo le uova rotte e le uova crude, e se lo portarono a casa uno per parte, beati, così che ebbero il vanto d’essere stati i primi a “requisire”. Ma tanta era la paura che, di quanti col cuore in gola, dalle finestre e dagli usci socchiusi, avevano spiato quel fuggifuggi, nessuno osò imitare il ciabattino, salvo tre cani che arditamente si misero a leccare con metodo quanto restò della preziosa poltiglia. Anche le guardie comunali erano sparite. Ma la meraviglia più viva m’aspettava a casa mia perchè, invece di fermarmi qui a studio, pensai di salire al primo piano per avvertire Giacinta, e la trovai in piedi nella stanza da pranzo, le maniche rimboccate, tra una ventina di prosciutti e una ventina di galline le quali giacevano sul pavimento, le zampe legate a mazzo, e speravano di fuggire strisciando il gozzo e allungando il collo una da una parte una dall’altra, più matte e spaventate, se era possibile, degli uomini loro concittadini. Prima ancóra che riuscissi a sapere il perchè di quell’invasione di suini morti e di pollame vivo, apparve Teta, la nostra serva, cuoca e cameriera,