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Io osservavo Nestore. Tra lui e il cameriere era un continuo parlarsi cogli occhi. Si vedeva che Nestore l’aveva istruito minutamente. Ogni volta che quello accorreva a riempire il bicchiere del deputato, guardava Nestore come ad assicurargli: – Non dimentico niente. – Doveva essere stato Nestore a ordinargli di venire in giacca nera e non in marsina; e a permettergli invece quel borghesissimo annuncio: “Il signor deputato è servito”. Astuto Nestore. Egli s’era proposto di lasciare al pranzo quel tanto di grasso e di borghese che poteva lusingare e saziare il deputato e i compagni, attribuendone la colpa a me, dopo tutto, padrone di casa; e nello stesso tempo di togliergli quelle vane apparenze – marsina e guanti bianchi del cameriere, vino spumante, invito d’estranei al partito – che, se raccontate, potevano offendere i compagni e il deputato. Quando vidi che ormai tutto andava liscio e che anche al vino rosso tutti davano la stessa pratica ammirazione che al vino bianco, còlto un attimo di silenzio, osai insinuare una domanda: — Com’è andata l’inchiesta, onorevole? Filiberti e gli altri compagni (ve n’erano tre) aggrottarono la fronte autorevole. Nestore mi lanciò un supplice sguardo. Il deputato cambiò tono, depose la forchetta, e alzando la palma della mano come a impedire che l’incauta domanda giungesse fino a lui, mi rispose: — A tavola, niente politica. Lei parla mai d’operazioni chirurgiche a tavola?