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In fondo sono tempi divertenti, e si può aspettare ad accorarsene. Questa considerazione m’ha illuminato la mente stamane mentre mi facevo la barba. Avevo davanti a me, nella sua cornicina di noce intarsiata con un filo d’ottone, lo specchietto rettangolare che alla prima pelurie mi regalò mia madre (era già vecchio), lo specchietto che ha veduto a uno a uno i miei capelli diventar bianchi, e ad una ad una apparire le mie rughe e approfondirsi come cicatrici, e il mio volto di ragazzo trasformarsi di giorno in giorno in questa buffa maschera melensa che certe mattine al primo sguardo io stesso non riconosco, tanto sento d’avere ancóra, al confronto, l’animo fresco e roseo. E mi sono detto: – Caro Pietro, tu ti ci affanni, tu t’aspetti il finimondo, tu ti appelli ai posteri, ma non pensi che, se non era venuta la guerra e poi questo cataclisma che t’ha lasciato solo a casa tua, che t’ha fatto cavaliere, che t’ha mutato il figlio da borghese in proletario e da medico in ferroviere,