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Nestore guardò sua madre. Tutti e due sorrisero: tutti e due sapevano. Giacinta soggiunse: — È il suo dovere. Avrebbero dovuto nominarti cavaliere vent’anni fa quando nominarono quella bestia di Donnetti. Si vede che questo sottoprefetto è più intelligente dei suoi predecessori. — È un funzionario moderno. Capisce che non si governa più senza giustizia, – commentò benevolo Nestore pensando a me, ed aggiunse pensando a sè: – E senza libertà. Il pranzo è stato sempre un rito per me oltre che un piacere e un bisogno. Chi disturba un pranzo è un essere sacrilego come chi disturba una messa la quale del resto è un’agape simbolica. Perciò fino a che non ebbi bevuto il mio caffè (lo zucchero ce lo portava Nestore, bianchissimo, e con una certa abbondanza), non parlai più della mia croce. Allora accesi la pipa e dichiarai più gentilmente che potei: — Naturalmente, io ho risposto al sottoprefetto che non accettavo la decorazione che egli mi offriva. Mia moglie spalancò le braccia esterrefatta come se m’avesse veduto scavalcare il davanzale della finestra e avesse udito il tonfo del mio corpo sul lastrico: — Ah no, questo è troppo. Da quel momento cominciò una discussione che andò vicina all’alterco. Prima si parlò delle decorazioni in genere, io sostenendo la loro vanità, mia moglie la loro utilità. Poi si parlò della mia carriera: io, sostenendo che aveva il suo