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metri cubi d’acqua portava al minuto il nostro piccolo acquedotto e io non seppi che rispondergli e per una settimana continuai ad arrossire di vergogna, anche di notte al bujo se ci ripensavo tra due sonni. Pasticceria, sala da ballo, infermeria, reggia: che cosa non è stato per me questo palazzo della sottoprefettura, con le sue quattro colonne sulla facciata neoclassica schiacciate per tre quarti dentro i muri, come se la vera facciata monumentale con tutto il tondo delle sue colonne fosse dalla parte di dentro e quella sulla piazza fosse per errore il rovescio o la fodera? Il nuovo sottoprefetto, il terzo dall’armistizio, mi venne incontro a mani tese, mi fece sedere sopra un divano di velluto rosso, mi tolse di mano il cappello, lo poggiò in segno d’onore sulla sua stessa scrivania a contatto, chi sa, con la firma del presidente del Consiglio o magari del Re, e mi disse, afferrandosi con le due mani la caviglia del piede destro che riposava sul ginocchio sinistro: — Caro dottore, io vorrei darle finalmente un segno della profonda stima del Governo per l’opera sua. Pensai súbito alla guerra, all’opera gratuita che per quasi tre anni avevo prestato all’Ospedale territoriale numero due.... Ma quello continuava a parlare: i medici, l’abnegazione, l’umanità, le epidemie, la vecchiaja. E della guerra non una parola. — Io so che ella è un fedele monarchico. Nè le opinioni di suo figlio che è giovane, ardente