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parole che gli uomini stampano a lettere majuscole. Era però un ragazzetto con gli occhi di pepe, sveglio, svelto e instancabile, tutto muscoli come un foxino, capace, mentre i suoi coetanei se ne restavano seduti ed assonnati sui banchi della scuola per sei e sette ore del giorno, d’inerpicarsi fino in cima alla collina petrosa che con la sua rocca domina questa città, e di tirare da lassù, con un furore d’assediato, per ore e ore, rinunciando anche a bere e a mangiare, sassate precise sui tetti, comignoli, persiane e anche vetri delle abitazioni sottoposte: tanto che gli abitanti venivano da noi a protestare, taluni recando in mano come Santo Stefano il sasso ricevuto, anche quando il povero Nestore era rimasto chiuso in casa per castigo o semplicemente perchè le due paja di calzoni che possedeva erano state ridotte tutte e due, durante quelle spedizioni, in polverosi brandelli. Questi giochi infantili anche audaci sarebbero, pel filosofo Spencer, il disinteressato inizio dell’arte. Purtroppo il disinteresse di Nestore durò poco, nè sboccò mai nell’arte. Non aveva dodici anni che, per calmare le ire di sua madre tutta occupata a spazzolarlo e a rammendarlo quando egli tornava dal suo libero tiro a segno, Nestore cominciò alla stagione buona a portarle delle grandi cartate di fiori di capperi ancóra in boccio, colti sulle vecchie mura della rocca. Con due soldi, e senza il pericolo di rompersi la testa, se ne poteva allora comprare il doppio, al mercato: ma a Giacinta, massaja e madre impietosita, quei capperi sembravano un tesoro