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Quella mattina, ad esempio, Cencina la quale s’era da pochi minuti convinta che anche io ero riuscito ad ingannare suo marito, mi parlava con una gentilezza e una deferenza, con cui non m’aveva mai parlato. C’erano lì, in piedi davanti a noi, tre signorine a gonne corte e a braccia nude e parlavano con tre giovanotti, due ufficiali e un borghese: e risate e moine e sorrisi e quei contatti che direi fuggevoli se, in confronto a quelli leciti nei tempi della mia giovinezza, non mi sembrassero addirittura assaggi di mercanzia. I tre uomini, d’un tratto, dovettero andarsene, e le tre ragazze rimaste sole, appena li videro usciti, scoppiarono in una risata unanime. Il volto di Cencina si coprì di tristezza: — Caro dottore, le donne oggi non sono più sincere, – mi disse e sospirò. Lei si credeva sincera, come io cominciavo a credermi furbo. La differenza era in questo: che lei se lo diceva e dai suoi successivi amanti se lo faceva dire da anni; che furbo a me me lo dicevano solo da un’ora e io non avevo ancóra il coraggio di dirmelo. Questione, ripeto, di tempo, di costanza, di pazienza, d’allenamento; e avrei finito per credermi furbo anche io, per agire da furbo anche io, come mi sono convinto che la croce di cavaliere, ma sì, caro prefetto, lei me l’ha data pei miei tanti meriti, e che il viaggio gratuito sulle ferrovie dello Stato è più utile a me che ad altri. E vengo al punto, cioè a Nestore. Mi sembra che sia ora di concludere anche su Nestore