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loro che erano malati, o perchè, con occhiate e silenzii e sospiri, questi lo lasciavano intendere. La vita insomma è una commedia il cui esito dipende tutto dal pubblico. E gli attori che a turno la recitano, sono in buona fede e commossi, appena è in buona fede e commosso il pubblico. Se dovessi e sapessi scrivere un trattatello sull’educazione della gioventù, io spiegherei nel primo capitolo come sia che un uomo abbia due, tre e talvolta anche quattro anime in un corpo solo e in una coscienza sola; nel secondo, come sia necessario dare a una di queste anime (che volgarmente si chiama volontà) la funzione di spettatore e di giudice, e condurla gradatamente a dire all’altra anima tua che tu sei un santo, un furbo, un imbecille, un felice o un infelice, un vinto o un trionfatore; nel terzo, come e perchè bisogni, a rischio di qualche sforzo e di qualche pena, cominciare pian piano ad agire secondo quella scelta davanti al pubblico, come a dire davanti allo specchio; nel quarto che con un po’ d’assistenza, d’allenamento, di costanza, di pazienza, se ti ci metti per tempo, tu puoi così diventare, a scelta, un santo, un furbo, un imbecille ecc. Degli altri capitoli non ti sto a dire perchè sarebbe questione lunga per te, e per me. Ma insomma questa sarebbe la base del mio trattato sull’educazione della gioventù: che la sincerità, a questo mondo, è un punto d’arrivo; e che il punto di partenza è la finzione.