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A saperti socialista, non hanno fatto difficoltà quelli della fabbrica? E non si sono insospettiti i clienti? — Ti pare! L’Italia è un paese civile. E poi, a un socialista in automobile chi non fa credito? Tutta quella brava gente crede ancóra che il socialista sia un cencioso prepotente. Sono in ritardo d’un secolo, o al più credono, comprando una macchina, di comprare anche me. Solo Violetta Deh, quando venne a provare la sua automobile, mi chiese sottovoce se era vero che io fossi socialista, e m’aggiunse offrendomi con la mano inguantata un mentino: “Anche io sono tutta per Lenin”. — Quando sono venuto a Roma, non m’hai detto niente. — Ancóra non avevo firmato il contratto. Tu lo sai, io non parlo mai che a cose fatte. — Un’altra domanda se è lecita. Come mai la Smac ha pensato a te? — Sono io che ho pensato a lei. Quando s’occupò le fabbriche, il partito mi mandò a catechizzare i compagni della Smac. E non solo impedii che gl’ingegneri fossero sequestrati o malmenati, ma in quei venti giorni feci da ingegnere io; e al loro ritorno i direttori trovarono che noi s’era lavorato più del normale. Chi non lavorava, lo legavo al palo. E per giunta, avevo fatto scavare intorno al palo, una fossetta, e l’avevo fatta riempire d’acqua per tenere a mollo i piedi del colpevole. — Più feroce d’un borghese.... — Idee. I borghesi non sono mai stati feroci. —