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lascia capire che, a quell’età, con quelle zucche, altro non possono fare. Matteo lo guardava, e alla fine, per prudenza, si mise a ridere anche lui alle spalle dei compagni e a raccontarne tante, di cotte e di crude, che io, solo borghese tra quei tre socialisti, non sapevo più che dire e dove guardare. Mentre raccontava del facchino della stazione che eletto consigliere non voleva più prendere le valigie dei viaggiatori che gli davano del tu e pretendeva che il Consiglio comunale formulasse un regolamento in proposito, arrivarono per fortuna i polli alla diavola con tanto pepe e pomodoro che due bottiglie di rosso scomparvero in cinque minuti, e Mastiotti rasserenato credette utile darmi qualche spiegazione: — Caro cavaliere, siamo a una svolta della storia d’Italia. — Un’altra? Ma non si fa che svoltare, da sei anni. — Questa è la svolta buona. Dentro un anno, noi socialisti saremo al Governo; e questi comunisti torneranno a fare i facchini, che non sanno fare altro. Io guardai Nestore: — È certo, – egli confermò, – tra un anno saremo al Governo. Fino allora nè l’industria nè l’agricoltura potranno risollevarsi. Eccolo il vero ministro dell’Industria, – e versava da bere a Mastiotti. — E i popolari? – chiesi ingenuamente. — Coi popolari ci si potrà intendere facilmente. Noi rispettiamo la religione, tutte le religioni. —