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un po’ di merenda sostanziosa, con due polli invece d’uno, e un melone bianco, e cotognata, e vino vecchio. Io aspettavo che Nestore cominciasse a parlare, e magari mi chiamasse da parte per confidarmi finalmente i suoi segreti. Invece mi disse: — Mastiotti è venuto, per conto del partito, a fare un’inchiesta sui fatti di jeri. In città, lo so, è meglio per oggi non entrare. Digli tu quel che sai, e poi glielo dirà Matteo. E l’inchiesta sarà presto fatta. Noi si riparte alle cinque per essere a Roma alle otto. Io narrai per filo e per segno tutto quello che avevo veduto la mattina e la sera, dalla piazza del Comune alla casa di Pascone; e senza dire delle prolifiche intenzioni della moglie di lui, narrai anche della croce di cavaliere. Matteo poco aggiunse di suo, se non la necessità che i carabinieri, la guardia regia, i soldati, il Governo imprigionassero e impiccassero sollecitamente tutti i fascisti delle città e della provincia. E questo me l’aspettavo. Ma quello che non m’aspettavo, furono le accoglienze che l’onorevole Mastiotti socialista fece al nostro racconto. Distribuiva a tutti i suoi correligionarii ingiurie a saccate: e Pascone era un idiota; e Filiberti era un pagliaccio; e l’aver smurata la lapide era stato da sciocchi, e gli applausi ai bersaglieri erano stati meritatissimi. Non ci metteva ira, ma, secondo il suo carattere, prima rideva, poi sentenziava, con l’aria d’un precettore che ascolta le sciocchezze fatte dai suoi ragazzi, e biasimandoli