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16 | mio figlio ferroviere |
gli scafi di due navi mercantili. E le navi sono da mesi finite, pronte al varo. Solo chi aveva costruito quel cantiere e gli scafi, s’era dimenticato d’assicurarsi la comunicazione col mare, e adesso il varo appare impossibile, e le navi restano lì all’asciutto sui loro palchi, inutili e ridicole nel folto d’una pineta. Così è stato delle nostre speranze: pronte, bellissime, costruite con arte perfetta, unte e insaponate perchè scivolassero meglio. Ma non si riesce a vararle. Restano dei modelli di speranze: tanto grandi che non si può nemmeno ficcarle in un museo.
Perciò, caro lettore, che ancóra hai da nascere, io mi rivolgo a te. Se, quando tu fra tanti anni mi leggerai, l’umanità sarà diventata davvero migliore, tu mi potrai generosamente proclamare un profeta, con qualche ora di dubbio, ma sempre un profeta. Se invece l’umanità sarà ancóra tale e quale a questa che io ti vengo narrando, e magari più stupida e confusa, tu avrai un po’ di compassione per me e per la mia breve illusione, e soprattutto imparerai da queste mie modeste confidenze a non perdere più tempo nella speranza di farla più savia e ordinata, e t’adatterai, come io mi vengo adattando, a viverci in mezzo, e t’accontenterai di tenere in ordine, alla meglio, il tuo cervello, visto che non c’è speranza di mettere in ordine il mondo.
E mi dovrai ringraziare, almeno per questo.