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ma il povero sindaco rosso, non fidandosi, aveva suonata la campana tanto per provare, e di contadini non se n’era veduto nemmeno uno, chè anzi tutti, a quell’avviso, s’erano chiusi in cantina o fuggiti nei boschi; e adesso all’ira sua, invece di scusarsi con lui, se ne beffavano e gli davano del matto. Ma per la bastonatura di Pascone, rossi e bianchi tornavano d’accordo nell’accusare i fascisti e nel giurare che erano stati loro ad inventare maligni la voce che i suoi stessi compagni l’avevano percosso. Aggiungevano che altri fascisti dovevano in quel giorno di mercato giungere in autocarro, e anche in treno, da altri due o tre paesi della pianura a fornire l’opera e a malmenare, dopo il sindaco, gli assessori, i consiglieri e, a caso, i loro elettori. Di tante dispute e ciarle restò solo questa che era la più minacciosa. E sul campo i contraenti erano svogliati, le orecchie tese più ad udire in tempo il rombo d’un motore o le prime grida d’una zuffa, che le piane proposte di chi voleva vendere o comprare. E la parola bastone tornava tanto spesso in tutti i toni sulle labbra di tutti, che, se vi fosse stata minaccia di peste invece che di bastonate, tanto non ne avrebbero parlato. E questo, secondo me, avveniva perchè il bastone ha da secoli, sotto i varii nomi di randello, mazza, verga, bacchetta e via dicendo, un valor politico che sale fino al simbolo e al mito come, ad esempio, nel bastone del maresciallo e nella bacchetta del penitenziere; poi, perchè ogni altra arma, dall’arco al fucile, può