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nessuno credeva d’aver più bisogno. Ma il fatto si è che quella sera, tornandomene solo a casa, io non avevo più la sicurezza di quando ero tornato da Roma, e nel treno avevo pensato all’avvenire di mio figlio. Mi risalì alla memoria anche la compera dell’oliveto; perchè, se Nestore s’era impicciato in quelli affari e per distrigarsene non aveva denari, avrei pur dovuto procurargliene io, con la mia mezza miseria, proprio adesso che ero vecchio e capace soltanto di restare chiuso nel mio studio a sporcare la carta coi miei ricordi. Quello aveva voluto l’oliveto dei Pópoli; ma oramai per l’oliveto io avrei, chi sa, dovuto perdere o ipotecare Poreta mentre Nestore si sarebbe salvato facendosi traslocare lontano.... Arrivato davanti a casa mia, alzai gli occhi e vidi la mia stanza da letto illuminata. Non so più che immaginai; so che vi salii di corsa. E nel mio letto trovai mia moglie in camicia, coi suoi diavolini di carta e capelli, ritti intorno alla fronte come i serpentelli di Medusa. — Giacinta, tu qui? — Sono arrivata col treno delle nove. Nestore verrà domani. Vuole parlarti. T’aspetterà a Poreta verso le tre. — Che è accaduto? — Niente. Che vuoi che sia accaduto? Nestore è stanco della politica attiva. — Da quando? E perchè? — Non lo so. M’ha detto jersera che vuole lasciare le Ferrovie. E io sono tornata súbito a