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sulla facciata del Circolo; infine nel salone del Circolo, che sarebbe stato, dati i tempi, più prudente. La conclusione fu che s’andò a letto. Ma la mattina dopo, quando uscii verso le sette per le mie visite e passai sotto il Comune, vidi due scale rizzate contro la facciata, e la lapide che legata a due corde già risaliva. Tocci era là sotto a dirigere i muratori, tranquillo. Alcuni giovanotti gli stavano intorno. Quattro guardie municipali s’erano ritirate nell’androne, sforzandosi di sorridere. Avevano mandato a chiamare il sindaco, dicevano, e aspettavano gli ordini suoi. Dalla parte opposta della piazza sotto la fontana, si venivano raccogliendo alcuni operai. Ripassai di lì dopo mezz’ora. Le scale non c’erano più. La lapide era tornata al suo posto. E il sindaco? Il sindaco non s’era veduto. Chi lo dava malato; chi, partito per una città vicina, sede di tribunale, a difendere una gran causa. Intanto il cemento lassù faceva presa. Alle otto fu disteso un cordone di bersaglieri attraverso alla piazza per dividere Tocci e i suoi amici dagli operai: ordine del sottoprefetto. Ma Tocci e i suoi amici quando videro arrivare i bersaglieri, cominciarono ad applaudire. Dalle finestre socchiuse di casa Sonsi spuntò un tricolore. Un altro súbito dopo apparve sul poggiolo di casa Langeli. Gli applausi scrosciarono più fitti. E il sindaco non si vedeva. All’improvviso qualcuno cominciò a gridare sotto il Municipio: – Ecco il sindaco! Ecco il sindaco! –