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12 mio figlio ferroviere

della legge e della scienza; ricopiato nitidamente su quella carta di gran formato; imponente per gli attributi di quei cento personaggi autorevoli; sonoro pel latino di tutti quei nomi di bestie: aveva un che d’ufficiale, d’autentico, d’inappellabile che dava i brividi, oserei dire, quanto una sentenza divina. Il felice ritratto dell’autore, lassù, faceva invidia, tanto per la gioja pareva vivo.

Intanto monsignor Manassei voleva di furia lacerare il manoscritto. Il notajo lo custodiva premendoci su le due mani. L’assessore voleva riferirne al sindaco. Il preside voleva ricopiarlo. Le pronipoti minacciavano d’intentare causa al Comune se il manoscritto fosse stato distrutto. Un’ora dopo, la discussione dilagò in città perchè, chiuso il manoscritto per precauzione nella cassaforte comunale su deliberazione della Giunta, l’ingegnere Laudisi, massone, repubblicano e allora consigliere di minoranza, pretese che il Comune avesse sempre l’obbligo di pubblicarlo súbito a sue spese; viceversa, la Giunta che ancóra per caso era una delle poche giunte di partito liberale rimaste in Italia, non voleva per tanto poco romperla coi “popolari„ e dichiarava di non aver tempo da perdere dietro una burla del secolo scorso.

Burla? Satira? Verità? L’importante per me è che il ricordo di quella mattina m’ha adesso suggerito il modo sicuro per assicurarmi anche io almeno un lettore fra mezzo secolo.

E il resto qui non conta.