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In treno ebbi agio di raccogliere le fila di tutto quell’intrigo di novità capitatemi a Roma. Verso Monterotondo cominciò a piovere così che dal finestrino non vedevo nemmeno i pali del telegrafo fuggire. Nel mio vagone, per caso, non pioveva, e s’era soltanto in tre: un ragazzo che s’addormentò subito, e un prete che si mise a leggere l’Uffizio, il Corriere d’Italia e un libriccino azzurro nuovo nuovo intitolato il Manuale dell’elettore: un boccone di uno, un boccone dell’altro; ma non capivo quale dei tre cibi gli sembrasse più saporito perchè egli era impassibile e, se interrompeva la lettura per meditare, alzava gli occhi al soffitto che gli nascondeva il cielo. Me, la pioggia mi rasserena. Forse è l’effetto della professione che esercito da trentacinque anni, dato che quando piove a dirotto pochi clienti vengono a disturbarmi. Forse è la mia stessa natura ottimista che, nel pieno d’un fastidio e magari d’un dolore, si slancia tutta a immaginare l’avvenire prossimo, appena fastidio e dolore saranno svaniti. Il fatto si è che, quando