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Pazzotti fece pochi passi, rannuvolato. Poi di scatto tornò indietro frettoloso, riaprì la porta e rientrò nel sacrario. Passarono pochi minuti. I due riapparvero trasfigurati, e Sua Eccellenza, tenendo tra le mani la destra di Pazzotti come aveva tenuto poco prima la mia e, dandole di gran colpi e di gran strette come se volesse rimpastarla a nuovo, diceva: — Nobilissimo, nobilissimo. Generoso e nobilissimo. Pochi, dopo una simile offesa, la avrebbero dimenticata così presto, con parole tanto generose e tanto nobili. S’era affezionato a quei due aggettivi e se li portò con sè attraverso tutta l’anticamera. — Le raccomando quel telegramma, – osai ripetere lasciandolo. — Parte súbito, le ho detto. E capii che non sarebbe partito più. La chiesina dell’ospedale è ancóra occupata dall’autorità militare la quale l’ha empita di fieno e di paglia tanto soffice che adesso i soldati magazzinieri vi invitano, dicesi, delle ragazze. E monsignor Satolli, del capitolo del Duomo, sostiene che la chiesina presto cambierà titolo e sarà chiamata della Natività. La sera tutti i giornali di Roma si burlavano dell’onorevole Pazzotti comunista autoritario e, avendo un giornale proposto che al tenente di picchetto fossero mandati dei fiori, il giorno dopo alla sua caserma tutta la sala degli ufficiali si colmò di rose. Ma io ripartii nel pomeriggio.