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10 mio figlio ferroviere


racconto dell’avvenimento che m’ha suggerito, come dicevo, d’affidare alla nostra Biblioteca questo liberissimo manoscritto.


Dunque il professore Zomiro Tempestini, concittadino nostro, che ha insegnato zoologia nella Sapienza, cioè nell’Università romana, fino al 1868, aveva lasciato morendo a questa Biblioteca un suo manoscritto scientifico sulla fauna del Lazio, appunto con l’obbligo che fosse aperto e pubblicato dopo cinquant’anni giusti. Il 30 maggio 1919 cadeva il giorno fatale. Monsignor Manassei chiuse per quella mattina la biblioteca ai due o tre maniaci che la onorano della loro attenzione, convocò nella sala di lettura l’assessore all’istruzione, il preside del regio Ginnasio, un notajo, noi medici, e due signore nipoti d’una sorella del professore il quale, per darsi tutto alla vera scienza, era morto celibe. E strepitava Monsignore perchè l’Università di Roma non aveva mandato un suo rappresentante che egli già s’era immaginato in tocco, toga, cordoni e commende. Le nipoti ed eredi avevano alla loro volta prestato un ritratto ad olio del professore Tempestini, in papalina di velluto amaranto col fiocco verdone; e quel beato faccione rossiniano, cogli occhietti neri e lustri e le due guance tonde e lisce e rosee che nell’anno di penuria 1919 vi davano la nostalgia delle mostre dei macellaj ai tempi della pace, dominava come un sole tutta la cerimonia. Tagliati gli spaghi rossi dei suggelli; aperta la busta con tanto di triregno e sante