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roteare solo la punta gialla. Da un momento all’altro l’avrebbe ingoiato. L’ingojò. Corse alla scrivania per prenderne un altro nuovo, e come se da quella novità gli fosse balenata un’idea, l’idea che doveva salvarlo, si rasserenò tutto e con l’aspetto d’un confessore che dimostri al penitente la miglior via del paradiso, consigliò: — Caro Pazzotti, perchè io possa procedere tanto verso il Comando della Divisione pel tenente quanto verso la Questura della Camera pel guardaportone, tu devi avere la bontà di mettermi in iscritto tutto disteso il tuo racconto, dirò meglio la tua denuncia, la tua giusta denuncia. Il caso è grave. Si tratta della dignità di tutti noi, di tutta la libera rappresentanza della Nazione, voglio dire, del popolo. Tu scrivi, e io procedo. Fulmineamente. Stasera stessa. Mi conosci, e basta. Ma a Pazzotti non bastava. Disse seccato: — Va bene. Ci penserò. — Ma no, non devi pensarci, non devi tardare. Scrivi qui da me, alla mia scrivania. Se preferisci, ti chiamo il mio segretario, e detti a lui. — So scrivere. — Sai scrivere? Ma che ti salta in mente? Che io volessi dirti che non sapevi scrivere? Io aspettavo col foglio in mano. Sua Eccellenza che cercava un altro argomento, prese il foglio e si dette a leggerlo. Ma metteva tanto tempo a scorrere le mie poche righe sulla cappella dell’ospedale ecc., che facilmente capii quella lettura essere solo un pretesto. Egli meditava