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ci sarò più lo? Se non ci sarò io, ci sarai tu al posto mio. No, non lo dico per ridere. Tu saresti un uomo di governo, perfetto. Certo, molto migliore di me. Quel sigaro non tira. Prendine un altro. E adesso, caro dottore, mi dica. M’ascoltò per mezzo minuto, in piedi davanti a noi. E súbito ricominciò a parlare lui: — Ma è semplicissimo. Si metta là a quella scrivania. Formuli lei stesso il telegramma da fare al prefetto. Parli chiaro, parli chiaro. Quel che lei chiede fa parte del nostro programma (l’amico Pazzotti lo sa), del nostro preciso programma di governo: smobilitare, smobilitare, smobilitare. I signori militari non vogliono? Peggio per loro. I signori militari sono dei funzionarii: devono obbedire. E presto. Formuli lei, formuli lei, senza cerimonie. Pazzotti lo interruppe: — Dove si sputa? — Dove si sputa? Ma dove vuoi, caro. Pazzotti si guardò attorno. Io seguivo ansioso il suo sguardo che percorse tutto il basso delle pareti, il caminetto di marmo, le poltrone di velluto, uno scaffale di libri, i tappeti. Poi, signorile, andò alla finestra, la aprì e sputò in strada. Mentre io scrivevo il telegramma, i due restarono nel vano della finestra a parlare. Quando li raggiunsi col foglio in mano, m’avvidi che Pazzotti spiegava a Sua Eccellenza l’offesa fattagli dal guardaportone e dal tenente. Sua Eccellenza era preoccupatissimo e masticava lo stuzzicadenti con tanta ansia che tra le sue labbra violacee riuscivo ormai a vederne