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gli occhi tanto piamente che il deputato se ne commosse e mi sussurrò: — Che donna! In quella dall’abside lontano scoppiò un pieno d’organo. Niente di bello. Era un organista che s’esercitava mani e piedi, lassù, e filava di gran pieni a registro di bombarda allagando di torrenti fragorosi le navate, i transetti, le cupole. Il rombo come un turbine di vento pareva assalire ogni oggetto, dai pilastri di marmo alle fiammelle dei ceri, e scuoterlo e frugarlo. I miei compagni s’erano fermati attoniti e quasi spauriti come ci si ferma per istinto di difesa quando una folata d’uragano v’investe a una svolta, e guardavano le statue come a chiedersi se sotto quell’impeto sarebbero riuscite a restare immote sui loro troni nei loro gran gesti sospesi. D’un tratto, com’era cominciato, il frastuono si troncò e si spense. — Meraviglioso, – disse il deputato comunista. Flora aveva gli occhi lucidi. Il volto di Leda era pallido e segnato come dopo uno svenimento. Flora s’attaccò per un braccio al suo uomo e gli parlò sottovoce. Catini scuoteva la testa e corrugava la fronte e provava invano a sorridere. Flora chiamò Leda in ajuto, e Leda gli parlò breve e, all’aspetto, severa, tenendo sempre le due mani sul manico dell’ombrellino come sull’elsa d’uno spadone. Che si dicevano? Per discrezione io m’allontanai verso la Confessione e mi detti a guardare gli stemmi di marmo sulle basi delle colonne ricordando d’essermi da