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erano nette e matematiche: quante sono le colonne del porticato, quante sono le statue, la piazza quanto è larga, la basilica quanto è larga, la cupola quanto è alta. Vecchio medico, abituato da giovane agli esami e poi ai consulti con colleghi più autorevoli di me, quando non sapevo, immaginavo, badando a dare alle cifre più incerte un accento più sicuro. Flora mostrava per la sua amica una gentile deferenza che non veniva, come capii, da qualche battuta più libera dei loro privati dialoghi, nè dall’età più matura nè dall’intelligenza più sobria, ma dal fatto che questa amica era rimasta fedele al palcoscenico e all’arte sua di ballerina, mentre lei Flora da più d’un mese viveva giorno e notte con un uomo, e per quanto quest’uomo lavorasse alla distruzione della proprietà privata, era diventata, in fondo, la proprietà di lui. — Parli sottovoce, – mi ammonì la signora Leda quando giungemmo presso l’altar maggiore, e d’un tratto si staccò da noi per andarsi a genuflettere alla balaustrata. — Leda è molto religiosa, – osservò Flora, seguendola cogli occhi, rivelando una certa inclinazione ad imitarla: – Suo figlio è in un collegio di preti. — È una signora, caro dottore, una vera signora, come ce ne sono poche, – confermò l’onorevole Catini e, poichè la preghiera di Leda andava per le lunghe nè essi avrebbero osato di continuare il giro della basilica senza lei, volle mostrarmi con quanta agilità egli sapesse salire dal particolare al generale: – Nello sfacelo