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e nemmeno Flora. Oggi alla Camera volevo chiedere a Miglioli d’accompagnarci, ma è afono e domattina resta in albergo a far dei gargarismi d’acquasanta e sale. Nestore cui il nuovo venuto aveva stretta la mano con speciale cordialità, offrì me come cicerone. Fui presentato all’onorevole Catini e alla sua dama, fui gradito e, dagli altri, invidiato. Il russo che anch’egli, all’ingresso della signorina Flora Flores, s’era distratto dall’ira e dal bicchiere ed era riuscito, nel nome dei Sovieti, ad esserle presentato e adesso restava in piedi presso lei seduta e rimbambolato la odorava dall’alto movendo impercettibilmente il capo ad ogni respiro come uno che ingoja a sorsate, si scosse e affermò: – Vengo anche io. Anche io conosco la basilica di San Pietro. Flora lo guardò di sotto in su. Doveva apparire anche più sporco che veduto di faccia. Rispose spremendo con due dita rosee il limone sulle ostriche: — Se dovessimo caricare sulla macchina tutti quelli che già conoscono San Pietro.... E poi nell’automobile già siamo in quattro; noi due, la mia amica e il dottore. Non c’è posto. Spiegaglielo, Micio. (Micio, da Michelangelo che era il nome di battesimo del deputato. Lo seppi il giorno dopo, ma lo scrivo súbito per la chiarezza del racconto.) E Micio glielo spiegò: — Si può immaginare il piacere che farebbe alla mia compagna ed a me avere con noi un figlio della Russia eroica, un fratello nostro..., –