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due chiavi non agivano. I due lucchetti erano stati da Nestore mutati con altri due lucchetti di uguale apparenza dei quali certamente egli si teneva in tasca le chiavi lasciandomi la consolazione di credere di averle io? Non lo saprò mai. Soltanto so che io, padrone di casa, se volli entrare nella mia soffitta, dovetti segare da me con una lima almeno il lucchetto della prima porta. Nella stanza, bene assestata, trovai una lunga vestaglia di donna, un pigiama da uomo, molti arnesi da toletta, un biglietto d’una calligrafia a me ignota, il ritratto d’un giovanotto mai veduto, con una dedica a una misteriosa Lydia con l’ipsilon.... Corsi alla porta che comunicava con le soffitte della sarta. Era appena accostata. Da quando cioè Nestore, come narrerò, s’era staccato da Cencina, la sarta s’era tranquillamente incamerata quella stanza. Per altre clienti? Per la stessa Cencina e il successore di Nestore? No, questo sarebbe stato cinico, e non volli crederlo. Con le mie mani posi di là sul mattonato il pigiama, il ritratto, i profumi, le spille, i pettini, i fiori secchi, il ritratto, tutto quello che immaginai di proprietà degl’invasori. Poi tirai il catenaccio, e accumulai contro la porta tutti i mobili di quella stanza e alcuni dei mobili della stanza precedente. E con un sospiro ridiscesi nel mio studiolo. La proprietà, almeno la proprietà fondiaria, era salva.