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nel cortile della prefettura di....”. Il sottoprefetto partì per Roma, a discolparsi. Presto si seppe che egli non era stato ricevuto nè dal ministro nè dal sottosegretario, ma solo dal capo di gabinetto il quale gli aveva annunciato che i socialisti lo accusavano formalmente di tenere nascoste nella sua stanza da letto altre bombe Sipe per preparare, contro loro, altri attentati calunniosi. Pasquarella allibì. Di fatto egli aveva riportato “dal fronte” due bombe a mano, scariche, s’intende, anzi vuote e ridotte elegantemente una a scatola di sigarette, una a scatola di fiammiferi: e le teneva appunto sul suo comò. Poteva confessarlo. Nella confusione, davanti all’ordine del capo di gabinetto che restasse a Roma per dare gli schiarimenti che ancóra potessero occorrere quando la Camera avesse discusso l’interrogazione Saltelli, preferì di telegrafare in cifra al suo segretario che togliesse di sul comò le due finte bombe. Il telegramma fu conosciuto a Roma, e il povero Pasquarella fu messo a riposo. Molti mesi dopo seppi che era riuscito a rientrare in carriera, ma miseramente, consigliere di prefettura non so dove in Basilicata. Che parte ebbe Nestore in quella cospirazione? Egli viaggiava sulla sua locomotiva. Mia moglie appariva raggiante, ma non osava tornare, con me, su quell’argomento scabroso. La prima volta che Nestore riapparve a casa, gli chiesi a bruciapelo: — Hai saputo del povero sottoprefetto? — Già, – mi rispose indifferente: – Doveva finire così.