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diretta. Trattava nello stesso modo il bilancio del Comune; e più i debiti, come è giusto e frequente e naturale, crescevano, più sorvegliava la contabilità, nè usciva dal Municipio se non portava con sè lo stato di cassa, ogni sera. Per dieci lire di diminuzione nel dazio sui broccoli, in questa o in quella porta, chiedeva spiegazioni per un’ora. A scrivere molte volte le cifre dei debiti, doveva certo sperare che diminuissero, quasi si logorassero. Io osavo paragonare quella sua mania ed illusione all’illusione di sua moglie che, raccontando più volte al confessore i suoi peccati, finiva sul serio a credere di non averli commessi. Questa scrupolosa meticolosità gli dava, tra gli elettori anche di parte avversa, la fama d’amministratore esemplare ed inesorabile. Del resto era un pauroso, noto per avere a casa sua impiantato tutti i più originali sistemi di difesa contro i ladri, dalle tartarughe di ferro con una soneria nella corazza da appoggiare la notte contro i due battenti dell’uscio, ai cordoni elettrici da tendere attraverso alle finestre così da far squillare al minimo colpo un campanello a capo del suo letto e un altro a capo del letto del suo casiere. Pauroso di tutto, era però anche tanto educato che recatosi una volta d’estate per ragioni del suo ufficio, a cercare del vescovo nella villa del Seminario, fu, da dietro al cancello, ricevuto da due mastini furenti e rampanti; ed egli, di qua, teneva il cappello in mano e inchinandosi parlava loro in terza persona: – Si calmino. Sono il sindaco. Loro si sbagliano.